domenica 23 dicembre 2012

Firma per ripristinare l’articolo 18 e per cancellare l’articolo 8


Scarica il volantino di Sinistra Critica sui referendum
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Attraverso la controriforma Fornero sul lavoro (legge 92/2012), il governo Monti e la grande maggioranza parlamentare che lo sostiene (dal centrosinistra del Partito Democratico alla destra del PdL) hanno manomesso l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, consentendo ciò che non era riuscito a Berlusconi nel 2002, cancellando così la norma che imponeva il reintegro del lavoratore licenziato senza “giusta causa”. Con le modifiche introdotte, adesso se il lavoratore ricorre al giudice e il licenziamento viene riconosciuto come “ingiustificato”, l’azienda tutt’al più avrà solo l’obbligo di un risarcimento economico (da 12 a 24 mensilità), ma il licenziamento rimarrà.

In questi mesi, si contano già a decine i licenziamenti che non avrebbero potuto essere attuati se non fosse stato manomesso l’articolo 18; inoltre la cancellazione dell’articolo 18 permette nei fatti ancor più di prima alle aziende e ai padroni di ricattare i lavoratori e le lavoratrici, i delegati e le delegate sindacali che rivendichino sul posto di lavoro il rispetto dei contratti e delle norme sulla sicurezza, e di aggredire così ulteriormente diritti e conquiste storiche del movimento operaio.
Attraverso questo referendum vogliamo ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nella versione originaria, ben sapendo che è necessario anche il suo allargamento a tutti i lavoratori di aziende con meno di 16 dipendenti, oggi esclusi, come già chiesto da oltre 10 milioni di votanti nel referendum del 2003.
Nell’agosto del 2011, all’interno di una delle tante manovre economico-finanziarie (legge 148/2011), il governo Berlusconi ha introdotto all’articolo 8 la possibilità di derogare dalle norme contenute nei contratti nazionali di lavoro e dalle leggi in tema di lavoro, attraverso accordi aziendali e territoriali, anche eventualmente sottoscritti da sindacati che non rappresentino la maggioranza dei lavoratori coinvolti. Un articolo scritto sotto dettatura della Fiat e di Marchionne.
Viene così consentito di derogare in peggio al contratto collettivo nazionale e persino alla legge in quasi tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: contratti a termine e a orario ridotto, modalità di assunzione e ulteriori aumenti della precarietà, classificazione e inquadramento del personale, orario di lavoro, ecc. Questa norma è stata resa possibile e anticipata dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sottoscritto anche dalla CGIL, pur con l’opposizione espressa allora al suo interno dalla minoranza di sinistra e dalla FIOM.
Attraverso questo referendum vogliamo ristabilire la certezza dei diritti previsti e conquistati nei contratti nazionali e ripristinare il principio per cui nessun accordo sindacale possa modificare in peggio le tutele minime previste dalla legge per i lavoratori. La contrattazione aziendale deve piuttosto poter garantire tutele aggiuntive, sia normative che salariali, poter contrattare i vari aspetti dell’organizzazione del lavoro, l’articolazione degli orari, ecc., sempre nei limiti previsti dal contratto nazionale
FIRMARE NON BASTA, MA AIUTA!
 Sinistra Critica è impegnata a sostenere la campagna per la raccolta firme per questi due referendum, nonostante le finalità elettoralistiche con cui l’iniziativa è stata promossa da altri partiti.
 I giusti contenuti dei quesiti referendari possono essere utilizzati come strumento di intervento nei luoghi di lavoro, come occasione per parlare nuovamente delle controriforme del lavoro e colmare almeno in parte quel vuoto di informazione che ne ha agevolato l’approvazione.
 Utilizziamo i referendum per mettere in discussione le micidiali politiche varate in questi mesi dal governo Monti e da chi lo sostiene, per favorire la costruzione di ciò che è indispensabile per vincere, un movimento contro le politiche di austerità e contro il pagamento di un debito che non è stato certo prodotto da lavoratori, lavoratrici, precari, disoccupati, per il conflitto sociale e l’allargamento della mobilitazione nelle piazze, nei territori, nei luoghi di lavoro.

venerdì 26 ottobre 2012

SABATO 27 OTTOBRE: TUTTI E TUTTE AL NO MONTI DAY!


Siamo persone che lottano, organizzazioni sociali e sindacali, forze politiche e movimenti civili, e ci siamo assunti l'impegno di dare voce e visibilità alle tante e ai tanti che rifiutano e contrastano Monti e la sua politica di massacro sociale, dando vita il 27 ottobre a Roma a una giornata di mobilitazione nazionale, NO MONTI DAY.
Scendiamo in piazza per dire:
NO a Monti e alla sua politica economica che produce precarietà, licenziamenti, disoccupazione e povertà, no alle controriforme liberiste, oggi e domani.
NO all'Europa dei patti di stabilità, del Fiscal Compact, dell'austerità e del rigore, che devastano da anni la Grecia e ora L'Italia.
NO all'attacco autoritario alla democrazia, no alla repressione contro i movimenti ed il dissenso, no allo stato di polizia contro i migranti.
Sì al lavoro dignitoso, allo stato sociale , al reddito, per tutte e tutti, nativi e migranti.
Sì ai beni comuni, alla scuola e alla ricerca pubblica, alla salute e all'ambiente, a un'altra politica economica pagata dalle banche, dalla finanza dai ricchi e dal grande capitale, dal taglio delle spese militari e dalla cancellazione delle missioni di guerra, dalla soppressione dei privilegi delle caste politiche e manageriali, sì alla cancellazione di tutti i trattati che hanno accentrato il potere decisionale nelle mani di una oligarchia.
Sì alla democrazia nel paese e nei luoghi di lavoro, fondata sulla partecipazione, sul conflitto e sul diritto a decidere anche sui trattati europei.
Vogliamo manifestare per mostrare che, nonostante la censura del regime informativo montiano, c'è un'altra Italia che rifiuta la finta alternativa tra schieramenti che dichiarano di combattersi e poi approvano assieme tutte le controriforme, dalle pensioni, all'articolo 18, all'IMU, alla svendita dei beni comuni, così come c'è un'altra Europa che lotta contro l'austerità e i trattati UE.
Un'altra Italia che lotta per il lavoro senza accettare il ricatto della rinuncia ai diritti e al salario,che difende l'ambiente ed il territorio senza sottomettersi al dominio degli affari.
Un'altra Italia che lotta per una democrazia alternativa al comando autoritario dei governi liberisti e antipopolari europei primo fra tutti quello tedesco, della BCE della Commissione Europea e del FMI, del grande capitale e della finanza internazionale.
Promuoviamo una manifestazione chiara e rigorosa nelle sue scelte, che porti in piazza a mani nude e a volto scoperto tutta l'opposizione sociale a Monti e a chi lo sostiene, per esprimere il massimo sostegno a tutte le lotte in atto per i diritti, l'ambiente ed il lavoro, dalla Valle Susa al Sulcis, da Taranto a Pomigliano, dagli inidonei e precari della scuola, da Cinecittà occupata ai tanti esempi di cultura condivisa come il Teatro Valle occupato e le tante altre in giro per l'Italia, a tutte e tutti coloro che subiscono i colpi della crisi.
Vogliamo che la manifestazione, che partirà alle 14,30 da Piazza della Repubblica, si concluda in Piazza S. Giovanni con una grande assemblea popolare, ove si possa liberamente discutere di come dare continuità alla mobilitazione.
Proponiamo a tutte e tutti coloro che sono interessati a questa percorso di costruirlo assieme, specificandone e ampliandone i contenuti, fermi restando i punti di partenza e le modalità qui definiti.
Il comitato promotore NO MONTI DAY ROMA 27 OTTOBRE

IL LAVORO E LE AZIENDE SONO UN BENE COMUNE, VOGLIAMO LA PROPRIETA PUBBLICA E IL CONTREOLLO DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI


Lavoratrici e lavoratori in Italia e in tutta Europa stanno subendo un terribile attacco da parte di padroni e governi: diritti economici e sociali, salari, pensioni, occupazione stabile, scuola, sanità sono cancellati o drasticamente ridotti. E’ un vero massacro sociale che non ha mai fine e serve solo a trasferire ulteriori ricchezze ai profitti e alle rendite finanziarie ( 3.500 miliardi regalati alla banche europee!!)
Nel nostro paese la disoccupazione è all’11% per cento, la precarietà è raddoppiata e favorisce il supersfruttamento dei lavoratori con salari di merda e orari impossibili, le fabbriche chiudono e ristrutturano licenziando migliaia di lavoratori, gli ammortizzatori sociali sono ridotti, 250.000 “esodati” sono senza lavoro e senza pensione.
Non c’è casualità in queste vicende, sono il prodotto dei meccanismi infernali del sistema capitalistico, delle scelte del padronato e delle manovre economiche dei suoi governi (prima Berlusconi e poi Monti).
Invece di costruire la lotta e lo sciopero generale richiesto da tanti lavoratori si è lasciato volutamente mano libera al governo Monti che ne sta facendo di cotte e di crude (vedi anche la recente legge finanziaria).
Inoltre sta andando in onda l’ennesima truffa contro i lavoratori: una trattativa tra governo, forze sindacali e associazioni padronali sulla produttività che ha una sola finalità : diminuire i salari e aumentare gli orari. Chiediamo con forza alla direzione della CGIL, di rompere questa trattativa a perdere se vuole veramente “il lavoro prima di tutto”.
Di fronte a una situazione così drammatica, per difendere l’occupazione non possono bastare misure parziali, anche se necessarie, come l’estensione degli ammortizzatori sociali, tanto meno chiedere ai padroni di “essere buoni” di investire e creare lavoro, quando ogni giorno fanno l’esatto contrario.
Servono misure molto più radicali: il lavoro, le aziende, certe produzioni, il futuro di interi territori sono un bene comune e pubblico e solo la mano pubblica può preservarle e garantirle. Per questo è necessario:
o imporre il blocco dei licenziamenti;
o nazionalizzare le aziende che chiudono, licenziano e fuggono all’estero;
o distribuire il lavoro esistente tra tutti i lavoratori che ne hanno bisogno (riduzione di orario a parità di salario);
o garantire una salario sociale a disoccupati e precari che permetta loro di vivere.
Non possiamo lasciare che siano i privati a decidere il destino di aziende come l’Alcoa o l’Ilva di Taranto. Devono passare o tornare in mano pubblica sotto il controllo dei lavoratori per poter garantire le produzioni di cui il paese ha bisogno, i necessari investimenti per mettere in sicurezza le lavorazioni e i territori, garantire alle lavoratrici e lavoratori il reddito nei periodi di ristrutturazione necessari per bonificare o riconvertire le produzioni.
E questo è ancor più vero per il Gruppo Fiat dove non si può lasciare nelle mani di Marchionne e degli Agnelli (ben sapendo che sono già in America) il futuro di interi territori, di centinaia di migliaia di lavoratori.
Dobbiamo avere il coraggio di rompere un tabù, di rivendicare l’espropriazione e il recupero della Fiat da parte dello Stato (nazionalizzazione), che vi ha gettato miliardi da sempre. La principale azienda del paese deve essere di proprietà pubblica e sociale, cioè sotto il controllo dei diretti interessati, lavoratori, tecnici, ingegneri, soggetti sociali e sindacali Solo così sarà possibile ridefinire una nuova missione produttiva, un nuovo piano dei trasporti che garantisca la mobilità collettiva e l’ambiente, preservando i posti di lavoro e i territori.
Una nuova politica industriale è possibile solo se torna la proprietà pubblica e tornano pubbliche anche le principale banche, come strumenti indispensabile per nuovi progetti produttivi e sociali.
Per far questo bisogna cambiare l’agenda del sindacato e del movimento dei lavoratori: subito una piattaforma rivendicativa di difesa del salario e dell’occupazione sostenuta da una uno sciopero generale, sviluppando un movimento di massa per una mobilitazione forte e prolungata capace di battere le resistenze padronali che saranno fortissime.
Ma questo presuppone anche una lotta durissima contro il governo delle banche e della finanza, per cacciare Monti e sconfiggere politicamente chi lo sostiene.
Contemporaneamente è necessario che il movimento dei lavoratori in Italia si unisca alla lunga lista degli scioperi generali che si stanno producendo nei paesi del sud dell’Europa contro le politiche di austerità, dalla Grecia, alla Spagna al Portogallo a Malta e Cipro e che avranno una scadenza unitaria il 14 novembre. La stessa CES (la Confederazione europea dei sindacati), del tutto passiva in questi anni, è costretta a “prendere atto della opposizione che cresce tra i lavoratori e i cittadini” e dichiarare per il 14 una giornata di mobilitazione europea.
Le scadenze italiane di lotta del 16 novembre tra cui quella della Fiom e del mondo della scuola devono collegarsi con le lotte europee. L’obbiettivo è di costruire una mobilitazione solidale e unitaria contro il padronato europeo e le sue istituzioni, per arrivare a un vero e proprio sciopero europeo della classe lavoratrice e di tutti i movimenti sociali.
Dobbiamo con la parola, le rivendicazioni e la lotta convincere milioni di cittadine e cittadini che per uscire dalla crisi occorre rifiutare le leggi del capitalismo basato su profitti e rendite, costruendo una alternativa in Europa che abbia al centro la cooperazione, la solidarietà, l’eguaglianza sociale, la democrazia, la difesa dell’ambiente in cui viviamo, la soddisfazione dei bisogni della stragrande maggioranza della popolazione.

lunedì 8 ottobre 2012

IL DISSENSO E DEMOCRAZIA! SIAMO TUTTI/E CON SERGIO BELLAVITA!


Riteniamo" l'espulsione" del compagno Bellavita dalla Segreteria Nazionale della Fiom, un atto inaccettabile.Considerare incompatibile
il dissenso dalla linea del segretario è un segnale decisamente preoccupante e che ci riporta in un tempo antico, certo non nobile, dove per queste ragioni si vincevano viaggi in territori molto freddi.
Ed ancora più preoccupante e' il fatto che la scelta venga presa dalla Fiom,organizzazione che ha fatto della battaglia sui diritti e sulla democrazia, una delle sue bandiere.Il dissenso, la discussione anche
aspra, le differenze sono strumenti di crescita, di elaborazione collettiva e non occasione di punizioni.Per questa ragione, come compagni e compagne di SC, esprimiamo stima e solidarietà sindacale e umana a Sergio e ribadiamo la necessità di ri-costruire un sindacato di classe,conflittuale, che metta al centro della propria azione la costruzione di un'altra idea di società.
Una società dove sia possibile potere dire no,non sono d'accordo.
Coordinamento Nazionale Sinistra Critica

domenica 22 luglio 2012

CONTINUA IL MASSACRO SOCIALE, ORA TOCCA AL LAVORO PUBBLICO.


Come annunciato da una stampa sempre più asservita, il governo Monti ha varato il decreto legge che concretizza la cosiddetta spending review, cioè il dimagrimento forzato delle amministrazioni pubbliche in nome, naturalmente, del “risanamento del debito”.
27 miliardi di euro di tagli da qui al 2014 tra Ministeri, Enti locali, regioni e Sanità, riduzione di dirigenti (20%) e lavoratori (10%) attraverso lo strumento della mobilità obbligatoria. Tutto ciò arriva dopo l’approvazione del “Fiscal Compact” e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio imposta dall’Unione Europea ai paesi membri.
L’obiettivo è chiaro e rivendicato ideologicamente dal Governo dei Professori: approfittare della crisi per regolare definitivamente i conti con il movimento dei lavoratori. Dopo aver “sistemato” i lavoratori delle aziende private con la demolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, dopo aver massacrato e precarizzato tutto il mondo del lavoro dipendente con la “controriforma” delle pensioni varata nel dicembre scorso, oggi è il turno del lavoro pubblico.
Colpire il lavoro pubblico significa massacrare quel poco di surrogato indecoroso di stato sociale esistente in Italia. Massacrare lo stato sociale significa colpire due volte tutto il lavoro dipendente. Quindi quanto sta accadendo non riguarda solo il “pubblico” contro cui negli anni scorsi è stata condotta una vergognosa campagna di denigrazione e criminalizzazione (lavativi, fannulloni, parassiti) addirittura messi sullo stesso piano della casta politico economica, pronta a scattare quando si tratta di conservare i propri privilegi, quelli sì veri e significativi…
Con l’aggressione all’articolo 18 scompaiono le tutele dai licenziamenti arbitrari e con essi si demoliscono gli ammortizzatori sociali e si precarizza ancora di più il lavoro dipendente.
Con la micidiale combinazione di “spending review” e mobilità obbligatoria nel Pubblico impiego si demoliscono garanzie per chi lavora e prestazioni sociali per tutti e tutte.
I padroni e il governo riescono a procedere con la complicità (oltreché ovviamente dell’intero schieramento politico parlamentare) anche e soprattutto di Cgil, Cisl, Uil e Ugl che emettono qualche belato di protesta per salvarsi la faccia e un po’ di consenso nei confronti della propria base sindacale ma si guardano bene dal chiamare seriamente i lavoratori alla lotta, dura, immediata e prolungata per bloccare questo decreto ed impedire che diventi legge dello Stato. D’altra parte sull’articolo 18 e prima ancora sulle pensioni abbiamo assistito allo stesso film.
Anzi, con il governo, Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno pure firmato un “Protocollo” per applicare le modifiche dell’articolo 18 ai lavoratori pubblici…
Bisogna dire basta, bisogna mobilitarsi. E’ un compito che ricade su tutto il sindacalismo conflittuale, su tutti i i delegati e le delegate Rsu che vogliano rispondere positivamente alla frustrazione e alla rabbia che monta tra i lavoratori r e le lavoratrici.
Bisogna unire ciò che i padroni vogliono dividere. I lavoratori privati con quelli pubblici, i precari con quelli a tempo indeterminato, i giovani e le donne con gli anziani e gli esodati, i migranti con gli autoctoni.
Sì, i tanti lavoratori migranti, perché quel che abbiamo visto a Basiano, provincia di Milano qualche settimana fa (il massacro dei migranti in sciopero contro le false cooperative di veri negrieri) non riguarda soltanto loro ma allude al futuro di tutti noi.
Per far passare la politica lacrime e sangue dei governi e delle borghesie europee se non saranno sufficienti sindacati complici, giornali asserviti, partiti corrotti, entreranno in campo loro, quelli vestiti di blu e di nero che hanno il compito di disciplinare con la violenza chi non vuole piegare la testa.
E loro oggi saranno utilizzati non tanto contro i no global o i black block, ma direttamente contro quelli che vivono del proprio lavoro o della propria precarietà ed a cui viene imposto di pagare una crisi di cui non hanno alcuna responsabilità. Si chiama “politica di austerità” e si pratica in tutta Europa.
Sta a noi dire basta e fare come in Grecia: si sciopera, si lotta, si occupa, si manifesta. E non si chiede il permesso a nessuno per poterlo fare. O vincono loro questa partita e siamo tutti ributtati indietro di cinquanta anni. In un mondo peggiore, più diseguale, autoritario, invivibile. O vinciamo noi, e possiamo ricominciare a sperare in un mondo migliore e più giusto e a pensare ed agire per costruire le alternative possibili.
Sinistra Critica